di Raffaella Di Meglio
Molti antichi mestieri isolani e quindi anche foriani
gravitavano
intorno all’attività
vitivinicola
che negli anni preturistici impegnava la maggior parte della
popolazione. Si trattava di attività specializzate, svolte
da
“mastri” o da ambulanti, di una vera e propria
cultura
fatta di attrezzi, di gesti precisi e sapienti, come nel caso dei bottai,
dei parracinari, dei
canestrai, persino di rituali, come dimostra l’esempio dei
nevaioli.
Lavori di bottega
Lungo le strade di paese si aprivano
diverse
botteghe, spesso anguste e affollate di oggetti e attrezzi, dove gli
artigiani trascorrevano le giornate intenti al loro lavoro. Tra i
lavoratori di bottega più diffusi, oltre al mastro bottaio,
di
cui si tratta nella sezione dedicata alla viticoltura, figuravano il mastro
calzolaio,
l’orologiaio
e lo stagnaro.
Lo stagnaro,
o stagnino, era un artigiano tuttofare, al quale si portavano gli
attrezzi più disparati, dalla pompa per irrorare il solfato
di
rame alla zappa alla padella; costruiva anche i tubi delle case e
all’occasione era anche vetraio.
Una figura originale era quella del confezionatore
di pacchi.
La sua bottega era piena di fogli di carta, cartoni e spaghi. Vi si
rivolgevano, tra l’altro, le persone che volevano spedire un
pacco ai parenti emigrati in America. Bisognava innanzitutto scegliere
il contenitore adatto per evitare di pagare troppo: il contenuto era
incartato con un foglio e legato con spaghi, il pacco era chiuso lungo
i bordi con colla ottenuta mescolando farina e acqua bollente.
Mestieri ambulanti e
stagionali
Oltre agli artigiani che lavoravano
all’interno delle loro botteghe, esistevano altre figure di
ambulanti, che animavano le strade foriane ed isolane offrendo prodotti
o servizi.
Si trattava per lo più di
figure maschili, raramente erano donne. Un’eccezione era la capèra,
che andava di casa in casa per pettinare le donne anziane. Altro
mestiere ambulante legato ai capelli era quello del capellaro
femmine
che si aggirava per le case del paese con un sacco a tracolla
annunciando la sua presenza al grido di “Chi vò o
capellaro femmine?”: l’uomo comprava capelli delle
donne
foriane che li tagliavano appositamente o raccoglievano pazientemente
quelli perduti in cambio di pochi spiccioli necessari per acquistare
vestiti o altro.
Data la povertà diffusa,
molto importanti
erano i “conciatori”, in grado di aggiustare vari
oggetti
che molti non potevano permettersi di riacquistare. Tra questi, il conciapiatti
o conciatiane
che spesso era anche conciaombrelli.
Le donne si rivolgevano a lui soprattutto per riparare i piatti di
creta rotti. Il conciapiatti rimetteva insieme i cocci cucendoli con
ferro filato che faceva passare attraverso fori praticati in punti
precisi con il trapano; stringeva le due estremità del ferro
con
la tenaglia e copriva infine i fori con creta applicata con le dita in
modo da nascondere ogni segno di sutura.
L’arrotino girava con il suo
carretto, si
fermava nelle piazze ed attirava l’attenzione degli abitanti
al
grido “È arrivato l’arrotino”
e azionando il
suo trabiccolo. Ben presto intorno all’arrotino si creava una
folla di semplici curiosi o di persone che portavano coltelli o forbici
da affilare.
I venditori ambulanti spesso giravano
per il paese solo una volta all’anno, come il venditore
di paglia,
che portava il suo carretto tirato da un mulo per vendere la paglia per
il saccone, ossia foglie di granoturco con cui si riempivano i sacconi
dei letti, i materassi di una volta, detti in dialetto locale ‘e
sbreglie.
L’uomo che
vendeva la reppola di mare arrivava in primavera: in una
cesta di vimini tenuta sotto il braccio, detta spasella,
portava
un’alga di mare simile alle foglie di lattuga, utilizzata per
le sue proprietà curative.
I canestrai,
intrecciando materiali vegetali, realizzavano diversi oggetti, tra i
quali il tipico canestro, detto anche canisto,
rivestimenti per bottiglie e damigiane, cofani e cufanelle,
cesti che le donne portavano in equilibrio sulla testa pieni di verdure
o ortaggi, utilizzati anche per il trasporto e la vendita della neve.
Ancora oggi sull’isola vengono costruiti cesti con tecniche
antiche tramandate di generazione in generazione. Ogni cesto ha una
funzione specifica: la nassella, in dialetto locale ‘u
nassiell,
è una sorta di vassoio a forma di goccia costruito con rami
di
castagno e di ginestra intrecciati e rami di salice per mantenere il
bordo, utilizzato per far seccare al sole i fichi o i pomodori; un
altro esempio è il cufaniello
‘e ll’acene, fatto di rami di mirto e
di olivo, che serve come filtro durante la vinificazione.
Un mestiere stagionale e ambulante era
quello dei nevaioli
o nevaiuoli, esistenti fino ai primi decenni del secolo scorso. Erano
lavoratori addetti alla raccolta ed alla vendita della neve caduta
durante l’inverno nei boschi della Falanga ai piedi del monte
Epomeo. In caso di abbondante nevicata, il banditore suonava la tofa,
una grossa conchiglia, per convocare i nevaioli che si radunavano al
centro della frazione di Fontana (i Fontanesi erano infatti veri e
propri maestri in questo mestiere) con indosso il costume tradizionale:
calzoni a brache di velluto verde bottiglia, calze lunghe di bambagia,
scarpe pesanti, giustacuore di panno color marrone, berretto di lana.
Muniti di pale, cofani e bastoni, si recavano quindi nel bosco, dove,
dopo aver acceso un falò con la legna raccolta nei rifugi
scavati in massi di tufo, raccoglievano la neve e la grandine, le
ammassavano e le pigiavano con bastoni all’interno di fosse
scavate nel terreno; infine ricoprivano le buche con foglie secche di
castagni, rami secchi e terra. Terminato il lavoro, i nevaioli si
raccoglievano intorno al falò per consumare il pasto a base
di
zuppa di fave bollite, salame, pane e vinello.
Ancora oggi, percorrendo il bosco della Falanga, si possono notare le
fosse della neve, dette anche “neviere”, e i
ricoveri
temporanei scavati nei massi di tufo verde funzionali alle
attività semirurali stagionali, quali appunto la raccolta
della
neve o il taglio della legna utilizzata per sostenere le spalliere
delle viti.
Nelle cavità la neve si
conservava fino
all’arrivo dell’estate, quando era venduta in
cambio di
pochi centesimi per fare gelati o per rinfrescare le bevande, in
particolare il vino. Anche il prelievo e la vendita della neve durante
i mesi estivi rispettavano un vero e proprio rituale: i nevaioli, che
spesso erano ciucciari, prelevavano la neve dalle fosse e la portavano
a dorso dei muli più veloci avvolta in panni dentro cofani
di
giunco foderati e coperti con foglie di castagno; giunti nei centri
abitati dei diversi casali dell’isola, percorrevano le strade
gridando «a neve, ‘neve, ‘u
nevaiuolo».
La neve raccolta sull’Epomeo,
insieme a vino,
carne e pane, fu offerta dagli isolani al re Ferdinando IV in occasione
della sua prima visita all’isola nel luglio del 1783.
Alcune delibere conservate
nell’Archivio del
Comune di Forio risalenti agli ultimi decenni dell’Ottocento
documentano l’esistenza di un dazio per la vendita della
neve,
un’entrata che non era però sempre garantita, in
quanto
non tutti gli inverni si verificavano nevicate sull’Epomeo.
Bibliografia
Lavori di bottega e
mestieri ambulanti: Delizia Ilia (a cura di), Ischia
d’altri tempi,
Napoli, Electa, 1990, p. 229; Polito Agostino, Com’era
il mio paese,
Forio, Centro di Ricerche Storiche D’Ambra, 1991, pp. 134,
138-139, 141-144, 148,157-158, 197-198.
Canestrai:
Delizia Ilia (a cura di), Ischia
d’altri tempi, op.cit., p. 229; Vallariello
Roberta, Flora
dell’isola d’Ischia. Usi e tradizioni popolari,
Lacco Ameno, Imagaenaria, 2004,pp. 142-143.
Nevaioli:
Delizia Ilia (a cura di), Ischia
d’altri tempi, op. cit., p. 230;
D’Arbitrio Nicoletta E Ziviello Luigi, Ischia.
L’architettura
rupestre delle case di pietra, Napoli, ESI, 1991, p. 54;
Monti Pietro, Ischia.
Archeologia e storia, Napoli, 1980, pp. 733-737; Sollino
Giuseppe, Ischia Verde.
Itinerari ecologici e botanici, Casamicciola Terme, Il
Tirso, Valentino Editore, 2002, pp. 15-16; fonti archivistiche:
Archivio Comune di Forio, Registro delle deliberazioni del Consiglio
dall'anno 1872 all'anno 1875, deliberazione n. 18 del 15 maggio 1872;
Archivio Comune di Forio, Registro delle delibere del Consiglio
dall'anno 1875 all'anno 1877, deliberazione n. 87 del 23 aprile 1876.