di Raffaella Di Meglio
I giochi popolari dei bambini e dei ragazzi foriani, come di
quelli
dell’intera isola, erano fatti con materiali poveri facili da
procurasi, spesso legati alla stagione o improvvisati. Solo i
più grandi potevano permettersi di giocare con i soldi. I
luoghi
di ritrovo preferiti erano spazi aperti, come le piazze di quartiere e
i campi.
Alcuni giochi non sono tipici
dell’isola, se non nella denominazione vernacolare: il
girotondo; lo strummolo
(la trottola); ‘u
tirapreta
(la fionda) costruita con un ramo di quercia e materiali riciclati (la
camera d’aria di bicicletta per le molle e la tomaia di una
vecchia scarpa per la guaina di cuoio); ‘u chirchio
pè vucià
(il cerchio per girare), per lo più di legno riciclato dai
tini
usati per la raccolta dell’uva, solo in rari casi di ferro;
il gioco della campana,
praticato prevalentemente dalle ragazze; mazza e pinzo,
una sorta di baseball giocato con una mazza ricavata da un ramo di
quercia o di sorbo e con il pinzo, un pezzo di legno più
corto,
levigato e appuntito che, poggiato a terra e colpito sulla punta, si
sollevava e veniva percosso con la mazza in modo da essere lanciato il
più lontano possibile; ‘a
rucilià (rotolarsi), una gara di
velocità nel rotolarsi dall’alto di un mucchietto
di terreno; ‘a
carruzzella, una sorta di carretto di legno con ruote.
In altri giochi rientravano oggetti di
uso
quotidiano, reperiti facilmente in casa, all’aperto o messi a
disposizione dalla natura a seconda della stagione. Con i noccioli
delle nespole, ad esempio, i ragazzi costruivano dei castelli,
uno accanto all’altro; con un nocciolo si gareggiava a
colpire e
distruggere il maggior numero di castelli. Le ragazze invece giocavano
alla fontanella,
ossia lanciavano gli ossi di nespola cercando di farli cadere nella
fontanella.
Tra i giochi praticati in interni
figurano quelli fatti con le nocciole,
dette nocelle,
legati al periodo natalizio: alla fine del pranzo di Natale le nocciole
venivano date ai bambini che le raccoglievano in sacchetti di stoffa. I
ragazzi giocavano al gioco
dei castelli, le ragazze al gioco della fontanella
o al dito per dentro.
In quest’ultimo gioco le nocciole venivano lanciate su un
tavolo
o sul pavimento, ogni partecipante a turno doveva far passare un dito
nello spazio vuoto tra due nocciole cercando di non toccarle e poi dava
un colpetto alla nocciola in modo da toccare l’altra; se
riusciva
a toccare solo quella nocciola, ne vinceva una. Sempre le nocciole
erano materia prima di un altro gioco, consistente nel lanciarne una
per abbattere le altre allineate. Nel mese di maggio le nocciole erano
sostituite dalle cartucce vuote raccolte nei boschi: i bossoli venivano
allineati e si tentava di abbatterli con il lancio di due cartucce
inserite l’una nell’altra.
Nella piazza di Panza un passatempo
diffuso tra i giovani era il gioco
dei cavalieri,
in cui i ruoli erano due, quello del cavallo e quello del cavaliere: i
ragazzi sorteggiati come cavalli si ponevano con la faccia contro il
muro, un cavaliere gli cingeva la vita con le mani e gli altri
montavano sul cavallo prendendo la rincorsa, ammucchiandosi fino a sei
insieme. Sempre nella piazza di Panza, lastricata con basalti di
trachite del Vesuvio, si giocava alla marma:
si gettava una moneta in aria, vinceva il giocatore che faceva cadere
la moneta più vicino al centro della lastra (la marma). Se
mancavano le monete si usavano i bottoni.
Le monete rientravano in altri due
giochi, riservati
ai ragazzi più grandi: il lancio della palla di ferro e
l’azzeccamuro. Nel lancio
della palla di ferro
ogni giocatore conficcava un soldo per metà nel terreno e a
turno lanciava una palla di ferro tentando di sterrare quanti
più soldi possibile. L’azzeccamuro
si svolgeva in luoghi soleggiati e riparati dal vento: ogni
partecipante lanciava una moneta in modo da farla avvicinare il
più possibile al muro. Il vincitore raccoglieva tutte le
monete
lanciate. Il muro poteva essere sostituito da una linea segnata sul
terreno: quando un giocatore riusciva a far cadere la moneta al centro
della linea si diceva che aveva “spaccato il
segno”, se
invece il soldo usciva dalla linea il giocatore era uscito fuori allo
“schero”.
Una variante dell’azzeccamuro
era ‘a barracca.
Sulla base delle monete cadute più vicino al muro o non al
di
là della linea si stabiliva una graduatoria: il primo
prendeva
in mano tutte le monete e, dopo averle manipolate, le lanciava in aria.
Vinceva le monete che cadevano con la testa sul lato esposto, mentre le
altre erano rilanciate dal giocatore successivo in graduatoria fino al
loro esaurimento. Il nome del gioco deriva dalla parola
“’a
barracca” che poteva essere pronunciata da un partecipante
per
invalidare il gioco in caso di sospetto imbroglio prima che le monete
lanciate cadessero a terra.
Durante l’inverno nelle
piazze, per sentire meno il freddo, si giocava allo schiaffo:
uno dei partecipanti doveva parare gli schiaffi ricevuti dagli altri
sul palmo della mano aperta sotto l’ascella, cercando di
mantenere l’equilibrio.
Un gioco ancora più dinamico
era l’azzancaferro
o azzangafierro:
si sorteggiava un partecipante con il compito di riprendere gli altri
che si disperdevano e cercavano di sfuggire alla presa non facendosi
toccare, toccando un cancello o un oggetto in ferro (in dialetto
“azzancando il ferro”); se l’oggetto era
di legno il
gioco prendeva il nome di azzangalegname.
Un divertimento
“alimentare” consisteva nel racioppare,
ossia nel girare per i vigneti dalla fine di ottobre a Natale alla
ricerca di grappoli lasciati sulle viti sfuggiti alla vendemmia o di
uva cosiddetta “tempestina”, maturata in ritardo.